Anche se per noi l’eternità è soltanto una logora metafora, un artificio con cui in passato i poeti fingevano di rapirci «all’intollerabile oppressione del successivo, e cioè del tempo» (Borges), per trasportarci in un paradiso a buon mercato, resta il fatto che per secoli l’umanità è vissuta confidando nella franchigia dell’eterno. Niente va realmente perduto se le messi del tempo sono conservate nel granaio dell’eternità.
Questo era il “credo” degli antichi. Ma chi è ancora disposto a scommetterci se il tempo e il mutamento formano l’ordine esclusivo del mondo? Che cosa è avvenuto a un certo momento della storia della civiltà occidentale? Di quale colossale naufragio – il naufragio degli eterni – siamo stati, e continuiamo ad essere, ignari spettatori? È quello che ci proponiamo di scoprire nel nuovo corso di filosofia, dopo aver seguito la singolare epopea dell’eternità dai suoi esordi greci, allorché Parmenide di Elea stabilì che l’essere è eterno («non era né sarà, perché è ora tutt’insieme, uno, continuo»), fino alla sua eclisse nel mondo contemporaneo affrancato dall’illusione della durata e pago apparentemente dell’eternità provvisoria del qui ed ora. Un’epopea, quella della nozione di eterno, che si intreccia dunque, fatalmente, con la storia delle differenti concezioni del tempo, l’altro misterioso protagonista, o meglio deuteragonista, del nostro racconto. Non si può negare infatti che dall’uscita dal Medioevo e più ancora dalla rivoluzione scientifica in avanti sia proprio il tempo, e non più l’eterno, a occupare il centro della scena filosofica. Con il risultato che il tempo rinvia all’eternità e l’eternità al tempo: un circolo vizioso, o virtuoso, che è forse il vero mistero di tutta questa faccenda, come nei versi famosi di Rimbaud in cui l’eternità è colta proprio nell’istante del suo dileguarsi:
«Elle est retrouvée. Quoi? – L’Éternité. C’est la mer allée. Avec le soleil.»
«È ritrovata. / Che cosa? – L’Eternità. / È il mare dileguato / con il sole.» (A. Rimbaud, L’Eternità)